Nel cuore dell’Europa, l’anno 1848 segnò l’alba di una stagione di cambiamenti radicali e movimenti rivoluzionari senza precedenti. Questo è il focus dell’analisi offerta dal Centro Filippo Buonarroti, come presentato nelle sue “Pagine di storia del movimento operaio“, dedicando particolare attenzione alle cosiddette Dieci giornate di Brescia. Questo episodio, caratterizzato da intensi scontri urbani che provocarono centinaia di vittime e migliaia di feriti, assegnò per la prima volta alla città l’emblema di “Leonessa d’Italia“. Tra il 23 marzo e il 1 aprile 1849, si verificarono i moti di rivolta anti-austriaci che, nel 175° anniversario dell’evento, vengono commemorati per il loro profondo impatto storico.
Le sfide di Brescia: un assedio alla libertà
Già nell’anno precedente, il 1848, il suolo europeo era stato teatro di agitazioni e rivolte, anticipando ciò che sarebbe culminato con fervore a Brescia. Qui, la resistenza contro l’occupazione austriaca prese una forma decisamente più violenta a marzo del 1849. Secondo il resoconto di Hein, estratto dai rapporti dell’ospedale militare di Sant’Eufemia a Brescia e citato dal Centro Buonarroti, le iniziali proteste operaie, mirate a rivendicazioni salariali, presto virarono verso un’impronta radicalmente rivoluzionaria.
Il confronto raggiunse il suo apice il 23 marzo, trasformando Brescia in un campo di battaglia per dieci giorni. Le forze di resistenza, composte da circa 3.000 cittadini armati, eressero barricate e sfidarono gli austriaci, nonostante questi ultimi fossero fortificati nel castello e ricevessero rinforzi. La città subì pesanti bombardamenti che danneggiarono significativi edifici storici, ma nonostante l’eroica difesa, Brescia dovette arrendersi. Il tragico bilancio e l’ammirevole resistenza fecero guadagnare a Brescia l’ammirazione internazionale e l’onorifico titolo di “Leonessa d’Italia“.
Oltre la battaglia: le voci dimenticate della storia
Ma esiste un altro aspetto, meno noto e forse intenzionalmente trascurato, di questa storica insurrezione. La partecipazione fu marcata soprattutto dal giovane proletariato, mentre le classi agiate dimostrarono una notevole riluttanza, se non aperta codardia, nel sostenere la rivolta, preferendo rifugiarsi lontano dal conflitto. Autori come Ugo Baroncelli ed Enzo Abeni evidenziano la fuga delle élite e il prezzo pagato principalmente dal popolo, composto da lavoratori e artigiani, nella lotta per la libertà.
Questa riflessione apre un dialogo critico sulla dinamica tra classi sociali nei momenti di crisi rivoluzionaria. La lotta proletaria, benché intrisa di atti di indubbio coraggio, venne spesso sfruttata o fraintesa dalle classi borghesi e piccolo-borghesi per i propri fini. Friedrich Engels, nel suo commento sul movimento del 1848-49, sottolinea come del sacrificio del proletariato abbia in ultima istanza beneficiato la borghesia, ponendo interrogativi sulla distribuzione dei frutti della rivoluzione e sull’avvento di una nuova era storica guidata dal proletariato.
Quest’analisi delle Dieci giornate di Brescia del 1849 non solo celebra un momento cruciale della lotta per l’indipendenza e l’identità italiana ma invita anche a una riflessione più ampia sulle dinamiche sociali e storiche che continuano.