Brescia vieta i manifesti di Pro Vita & Famiglia: “Messaggi divisivi e fuorvianti”

Il Comune nega l'affissione della campagna “Mio figlio no”, ritenuta in contrasto con i principi costituzionali e l’interesse pubblico

A Brescia i manifesti della campagna “Mio figlio no” non verranno affissi. Palazzo Loggia ha respinto la richiesta dell’associazione Pro Vita & Famiglia, ritenendo che il contenuto della campagna non risponda ai requisiti previsti per accedere al servizio delle pubbliche affissioni, riservato esclusivamente a comunicazioni con finalità istituzionali o sociali reali.

La decisione del Comune arriva dopo polemiche in altre città italiane, come Roma, dove i manifesti sono stati rimossi dopo meno di 24 ore, e Chiavari, dove invece sono rimasti esposti. A Brescia, però, l’autorizzazione è stata negata fin dall’inizio.

La campagna “Mio figlio no” contiene immagini create con intelligenza artificiale e frasi attribuite a minori, tra cui: «Le attiviste LGBT a scuola spiegano come cambiare sesso» o «Leggiamo favole in cui la principessa era un uomo». Ogni manifesto è accompagnato da un Qrcode che rimanda a una petizione contro la cosiddetta “ideologia gender” nelle scuole.

Secondo Palazzo Loggia, tali contenuti “non veicolano un’informazione di interesse pubblico” e sono “fortemente divisivi e ideologici”. La nota del Comune precisa che “non risultano iniziative scolastiche riconducibili al movimento LGBTQ+ nel territorio comunale”, definendo la campagna “potenzialmente fuorviante e finalizzata a creare allarme e ostilità”.

Il portavoce dell’associazione, Jacopo Coghe, ha replicato parlando di “censura preventiva ideologica”, sostenendo che i manifesti si basino su “fatti reali segnalati da centinaia di genitori”. Ha inoltre citato un episodio avvenuto a Brescia alcuni anni fa, relativo a un corso di formazione per docenti, che l’associazione ritiene “ideologicamente orientato”.

Tuttavia, il Comune ha ribadito la propria posizione, sottolineando che “la comunicazione promossa da Pro Vita & Famiglia è incompatibile con l’interesse pubblico e con i principi costituzionali”, in particolare gli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione. Il rigetto si basa anche sull’articolo 1 della legge 241/1990, che disciplina il buon andamento e la trasparenza dell’azione amministrativa.

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