A trentacinque anni dal duplice omicidio di Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, dirigenti delle Acciaierie Megara di Catania, si riaccendono le indagini. La Procura generale di Catania ha avocato l’inchiesta lo scorso 9 gennaio, assegnandola ai magistrati Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci, con il coordinamento del procuratore generale Carmelo Zuccaro. L’obiettivo è far luce su una delle vicende più oscure legate alle infiltrazioni mafiose nel tessuto imprenditoriale siciliano degli anni ’90.
Secondo la ricostruzione della Procura generale, Rovetta e Vecchio furono assassinati il 31 ottobre 1990 per aver opposto un netto rifiuto al pagamento del pizzo richiesto da Cosa nostra. I due imprenditori vennero uccisi all’interno dello stabilimento industriale e, solo dopo il delitto, la società avrebbe ceduto, corrispondendo alla mafia un miliardo di lire in contanti, somma sottratta a fondi creati appositamente nella gestione della Megara.
L’accusa: un pagamento mediato da Vinciullo
A finire sotto i riflettori è oggi Vincenzo Vinciullo, imprenditore messinese di 81 anni ed ex agente di commercio per la società. È indagato con l’accusa di aver fatto da mediatore tra i vertici della Megara, passata nel frattempo sotto la guida del gruppo bresciano Alfa Acciai, e i rappresentanti di Cosa nostra attivi nelle province di Palermo, Caltanissetta e Catania.
La posizione di Vinciullo è al centro di una perquisizione avviata dalla DIA e dal nucleo interforze della Procura generale, sulla base dell’informativa “Grande Oriente”, vasta indagine antimafia che ha ricostruito rapporti fra clan e ambienti economici anche attraverso le dichiarazioni del collaboratore Luigi Ilardo, poi ucciso prima di poter testimoniare.
Archiviazioni, opposizioni e nuove piste
L’indagine sul duplice omicidio era stata più volte archiviata, anche per mancanza di notifiche formali alle parti civili. La Cassazione aveva annullato una delle archiviazioni, obbligando la Procura di Catania a nuove valutazioni. Tuttavia, anche in seguito, diverse posizioni vennero chiuse, compresa quella di cinque indagati iniziali, per i quali il gip Marina Rizza escluse elementi concreti di coinvolgimento. Il giudice, però, dispose nuove indagini, evidenziando il possibile ruolo di Aldo Ercolano e Orazio Privitera nella vicenda.
Secondo quanto riferito dal pentito Eugenio Sturiale, l’omicidio di Rovetta sarebbe stato commissionato direttamente da Ercolano, con l’obiettivo di mascherare la matrice catanese del delitto, dato il legame tra l’azienda e la criminalità locale. Le dichiarazioni di Giuseppe Ferone avrebbero offerto ulteriori riscontri, indicando Carmelo Privitera, fratello di Orazio, tra i presunti esecutori materiali, nonostante il periodo di detenzione di Orazio stesso.
Nel marzo 2023, la Procura aveva richiesto misure cautelari nei confronti di Carmelo Privitera, mentre Francesco Rapisarda, anch’egli indagato, non fu oggetto di provvedimenti per ragioni di età (80 anni). Anche contro quest’ultima archiviazione, i legali dei fratelli Pierpaolo e Salvatore Vecchio, figli di Francesco, hanno presentato opposizione formale, continuando a battersi per la verità.
Le vittime: due manager contrari al pizzo
Alessandro Rovetta, 33 anni, amministratore delegato delle Acciaierie Megara, era noto per il suo impegno nella lotta contro le estorsioni mafiose. Aveva denunciato minacce e subito intimidazioni, tanto che la sua abitazione era stata posta sotto vigilanza. Dopo il delitto, la sua famiglia abbandonò la Sicilia per tornare in Lombardia.
Francesco Vecchio, 52 anni, direttore del personale, era anch’egli considerato un dirigente integerrimo e stimato. Si era schierato al fianco di Rovetta contro le pressioni della criminalità organizzata. Suo figlio, Salvo Vecchio, ha portato avanti in questi anni un’intensa attività civile e legale, chiedendo giustizia per l’assassinio del padre.
Verso una nuova verità giudiziaria?
L’avocazione della Procura generale segna un cambio di passo nell’inchiesta, con l’intento di colmare le lacune investigative e approfondire i legami tra imprenditoria e criminalità. Una svolta attesa da decenni dai familiari delle vittime, che ora confidano nell’accertamento delle responsabilità.