La Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per Abderrahim Senbel, accusato dell’omicidio della moglie Mina Safine. La difesa aveva sostenuto la tesi di un tentato suicidio, ma la corte ha respinto questa ipotesi, accertando che Senbel aveva dato fuoco alla moglie utilizzando dell’alcol.
Bruciata viva in casa
L’episodio drammatico risale a quasi quattro anni fa a Urago Mella. Secondo le ricostruzioni, Senbel avrebbe cosparso la moglie di alcol, accendendo poi le fiamme con un accendino. Mina Safine, 45 anni, riportò ustioni gravissime su oltre il 90% del corpo e morì dopo una settimana di agonia in ospedale a Genova. Fu proprio Mina a chiamare il 112 chiedendo aiuto: “Mio marito mi ha bruciato, sono in Via Tiboni. Per favore mi aiuti”.
Confermata la colpevolezza
Nei tre gradi di giudizio, la corte ha confermato la responsabilità di Senbel. La difesa aveva cercato di sostenere che il marito avesse assistito impotente al tentativo di suicidio della moglie, ma questa versione non ha mai convinto i giudici. Anche in Cassazione, la colpevolezza di Senbel è stata ribadita, confermando la sentenza di ergastolo.
Versione della difesa respinta
Senbel, che oggi ha 57 anni, era stato inizialmente accusato di tentato omicidio e successivamente di omicidio una volta che la moglie era deceduta. Anche lui riportò ustioni alle mani e alle braccia, ferite che la difesa aveva usato per sostenere la tesi che l’uomo avesse tentato di salvare la moglie. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto che queste ferite fossero compatibili con l’azione di dare fuoco alla moglie e non con un tentativo di soccorso.
Un dramma familiare
Il caso di Mina Safine ha suscitato profonda commozione e indignazione. La sua morte violenta ha messo in luce ancora una volta il tema della violenza domestica. La sentenza definitiva contro Abderrahim Senbel rappresenta una vittoria per la giustizia, ma non può restituire alla famiglia e agli amici la vita di Mina.